Tor Pignattara
Mio padre ottenne nel 41 un appartamento in un palazzo dell’Istituto Case Popolari appena costruito, dove andò a vivere con la madre e le due sorelle. Il palazzo, piuttosto grande, forse è meglio chiamarlo caseggiato, con dentro anche un piccolo monastero con chiesa, si chiamava (e si chiama) “Er millevani”(con ovvio riferimento alla sua mastodonticità) e si trovava proprio di fronte all’Acquedotto Alessandrino, a Tor Pignattara, al confine con la borgata degli Angeli, verso il Quadraro.
Qui venni ad abitare nel 50, quando mia madre ebbe il trasferimento a Roma. Il caseggiato era allora una comunità, quasi un piccolo paese: ci si conosceva tutti, ed erano varie centinaia di persone. Non ho molti ricordi di allora. Ricordo le figlie “der Sor Giovanni” che giocavano spesso con me, una mi dedicò pure una poesia. Ricordo la radio sul mobile, la sveglia che ruppi per vedere come era fatta dentro, mia zia che insegnava a cucire e ricamare alle ragazze del palazzo (e io ero amato e sbaciucchiato da tutte quante).
Il quartiere non era tanto diverso da adesso. C’erano alcune vecchie case che ora sono state sostituite, una delle quali di legno, di due piani, che mi piaceva molto. La mattina mi portavano a fare la spesa e varie volte mi capitò di assistere, nel giardinetto di una casupola a un piano, poco distante, alla scena di una donna che picchiava selvaggiamente un bambino: dicevano che era la matrigna e il marito la mattina andava a lavorare. La gente faceva capannello, qualcuno protestava, ma questa continuava, urlando contro quelli che non si facevano gli affari loro.
In un paio di occasioni potei saggiare la solidarietà di caseggiato. La prima volta ero in casa con Nicolina, la ragazza che faceva da bambinaia: suonò uno sconosciuto alto, col cappello (allora gli uomini portavano quasi tutti il cappello) e si introdusse con la forza in casa. Io che stavo sul vasino (e qualcosa avevo già fatto), glielo lanciai addosso. La bambinaia cominciò a urlare, in neanche 10 secondi c’era tutta la scala giù da noi e dopo un po’ tutto il palazzo. Ovviamente il tizio si dileguò immediatamente. La seconda volta stavo con mia zia che aveva comprato delle olive, una cosa che non avevo mai mangiato. Mi arrampicai sulla sedia e cominciai a mangiarle. Ovviamente con tutti i noccioli. Quando venne in cucina mia zia e vide le olive finite e io che, viola, mi lamentavo, la prima cosa che fece fu aprire la porta di casa e urlare. Dopo i soliti 10 secondi avevo 30 persone attorno. Non ricordo esattamente cosa fecero, ricordo solo che mi misero a letto e il saporaccio del tè che mi costrinsero a bere; ma per quel giorno diventai famoso nel palazzo e forse anche nel quartiere, con la gente che continuava a farci visita per sapere come stavo, e chi portava il brodino, chi le caramelle, chi i saggi consigli continua