Oste

Betto e Mary

Tutti sanno chi sono Betto e Mary a TorPigna. Nel piccolo insediamento popolare a Certosa, tra la ferrovia , la Casilina, via Filarete e via degli Angeli.

L’ultimo esempio di “trattoria romana ignorante” de na vorta, col portoncino de ferro e vetro, con le insegne fatte a mano e le scritte che scherniscono i visitatori come quella che accampa all’ingresso: “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate”.

Tra quadretti, fotografie, ritagli di giornale, targhe e targhette, vengono anche esibite le cravatte degli ospiti che con buona osservanza del divieto esposto sul muro, hanno dato via al rito di consegnare prima di sedersi la propria cravatta, simbolo di costumi troppo formali e ingessati per un posto che offre ed esige un un dress-code “sportivo”.

Dopo tutto qui al tavolo si mangia su tovaglia in carta, gomito a gomito, in un ambiente non particolarmente studiato in cui, come si legge sull’affresco in sala, si può fare affidamento su un unico fondamentale valore: “…La Vera Cucina Romana”.

Anche con i camerieri che esibiscono, o meglio ostentano, un po’ di quella cattiveria alla spaghetti-western, bisogna essere un po’ arrendevoli perché se fai una richiesta fuori gli standard della casa non te le mandano a dire, ma dopo un po’ ci fai l’abitudine perché capisci che sono solo provocazioni che fanno folklore.

Il menu offre diversi antipasti (€) e primi (€€), nei secondi ci sono ricette della tradizione (€€€) e tanta ciccia (€€). Naturalmente contorni e dolci del giorno (€) e… vino della casa, diciamo così, beverino.

Parliamo del cavallo? nel menu a la carta ha un posto d’onore, insieme a ricette a base di interiora di altre bestie come previsto del resto dalla tradizionale e imperitura cucina romana del quinto quarto. Per questa si sa ci vuole stomaco!

Qui comunque non è mascherata da alcun tipo di artificiosa guarnizione, t’arriva nel piatto… come adda esse’.

Non serve recitare il rosario dei primi che sono tutti quelli classici, ma con la pasta e il sugo che te pare (…e da questo realizzi che anche l’informalità è un valore), quindi carbonara, gricia, matriciana, sugo di coda, di pajata, ecc. condimenti sempre pieni e spinti al massimo.

Nei secondi è d’obbligo ricordare il “misto romano”: trippa alla romana, coda alla vaccinara, codina di vitello alla cacciatora, animelle al prosciutto, pajata d’agnello in umido e coratella con le cipolle, tutto insieme, tutto preparato con i tagli della tradizione, i resti, ma tutto preparato con grande sapienza e tutto estremamente saporito, senza appesantire, al guazzetto.

Se poi c’è bisogno di asciugare il grasso sul palato vengono immancabilmente in soccorso le tipiche puntarelle con le alici , che manco a dirlo, qui sono fatte a regola d’arte, ben acetate e croccanti come piacciono al romano doc.

Insomma… me pare che pregi e difetti di questa ormai icona storica a Torpignattara sono evidenti, entri in una tavernetta di periferia e ti ritrovi al cospetto dell’autentica cucina romana, non interpretata, non rivisitata, proprio quella. Il resto del menu però, con un po’ di clemenza (reciproca), ve lo fate racconta’ dal cameriere, che del resto lo fa pe’ mestiere.